Operazione finanziata sull’Asse 9 “Assistenza Tecnica” del PO FESR Basilicata 2014-2020
Attività informativa annuale – Allegato XII del Reg. (UE) 1303/2013

da un capo all altro

Atlante di abitografia umana

Da un capo all'altro

Approfitta delle pause del Come to Code per visitare la mostra interattiva. Lasciati trasportare dall'arte, in un viaggio lungo l'atlante di abitografia umana.
dauncapoallaltro.eu

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DA UN CAPO ALL’ALTRO

Da un Capo all’Altro è una mostra interattiva dedicata al viaggio e all’incontro con l’altro in
cui si gioca ad attraversare arcipelaghi fatti di comodini, cassettiere e mobili che
custodiscono abiti blu donati dalla comunità. L’interazione è mediata attraverso dispositivi
integrati negli oggetti e da un’applicazione inedita, le cui track sono costellazioni ricamate
a mano, che mettono insieme il viaggio fra le storie universali sul corpo umano per aprire
un livello di guida audio-visivo sperimentale. Il percorso espositivo è organizzato in quattro
arcipelaghi-mobili da attraversare con tutti i sensi, ognuno dedicato a diverse fasi del
viaggio: da lontano, corpo a corpo con i luoghi, la risacca del ricordo, la comprensione. Per
poter passare da un arcipelago all’altro bisogna interagire con mobili, abitacoli e abiti per
attivare le componenti sensoriali in essi custoditi. L’applicazione inedita realizzata dal
collettivo di art-makers è un sistema interattivo innovativo che unisce l’artigianalità alla
programmazione, coprogettato durante un percorso scolastico con studenti per accedere
alla dimensione empatica attraverso l’esperienza emotiva di evocazioni, ricordi e micro
mondi poetici che raccontano la bellezza dell’Altro e dell’Altrove.
Il visitatore è invitato ad attraversare con i suoi sensi e il proprio smartphone la “geografia”
del vestito (l’abitografia) scansionando i ricami stellari, infilando la mano in una tasca,
aprendo una zip, sbottonando un bottone, guardando in un cappuccio…Per il tramite di
queste azioni così familiari, quotidiane, quasi banali poiché acquisite dalla nostra
“abitudine” culturale, i singoli capi si attivano: attraverso luci, suoni, venti, illusioni ottiche, i
capi raccontano il fascino, la paura, la voglia, lo stupore del viaggio, le emozioni e le
sensazioni che tutti i corpi in transito hanno provato almeno una volta nella vita.

APP, SCIENZA, DESIGN, GEOGRAFIA UMANA, ACCESSIBILITÀ

La mostra si avvale di molti percorsi paralleli, ciascuno dei quali declinabile ed adattabile
al contesto ospitante. Da un Capo all’Altro nasce come operazione narrativa che origina
dalla Geografia Umana ma presenta, al contempo, anche altri livelli di approfondimento e
di racconto. La presenza, ad esempio, di mobili ed il paziente lavoro di recupero e
“reversibilità” che su di essi è stato attivato per renderli fruibili da più lati, rientra appieno
nei processi di riprogettazione e design relazionale. Gli stessi abiti, tutti recuperati in
seguito all’attivazione di reti di partecipazione con diverse comunità, sono portatori di
diverse tematiche quali l’antropologia, l’oggetto relazionale, il dono, ma anche la moda,
l’artigianalità sartoriale, lo studio dei prodotti tessili e la loro storia, dalla materia prima
all’arte tintoria. E’ inoltre molto forte la presenza di un livello di approfondimento scientifico
che dà la possibilità di riflettere e indagare in modo emotivo ed interattivo sulle parti del
corpo umano, per concludere su come tutti i corpi sono diversi eppure uguali. Questo è
possibile grazie alla App che dà accesso ai contenuti speciali denominati “Scampoli di
Scienza e Geografia”: puntando il proprio smartphone su alcuni abiti ed inquadrando le
costellazioni ricamate su di essi è possibile fare un viaggio nel mondo attraverso le parti
del corpo e sotto un cielo di costellazioni immaginarie dedicate ad oggetti quotidiani: l’abito
con la costellazione della collana ci racconta, ad esempio, come è fatto e a cosa serve il
collo e ci porta poi in Thailandia tra le donne Kaian, oppure la costellazione del pallone ci
racconta curiosità sui muscoli delle gambe facendoci viaggiare nell’antica Grecia e i suoi
giochi olimpici

ABITI/ABITANTI/ABITACOLI/ABITUDINI: GLI OGGETTI CHE RACCONTANO

Gli oggetti narrativi della mostra Da un capo all’Altro sono abiti, la cui radice, habitus, è la
stessa di habitat. Habitus deriva dal latino habito, frequentativo di habeo (avere) che
significa soler avere, abitare, dimorare. La matrice habeo contiene l’idea del possedere,

dello stare, dell’abitare. In questa parola è dunque contenuta l’idea dell’iterazione,
dell’abitudine, della consuetudine, del compiere azioni in modo continuativo. Ma abito
significa anche aspetto, forma del corpo, atteggiamento, disposizione, carattere, maniera
di vestire. Abitare significa dunque vivere un determinato luogo (un habitat) con la
conseguente produzione o adozione di abitudini. Le abitudini si formano dalle nostre
interazioni con l’ambiente, con l’esterno: attraverso queste interazioni/relazioni abitiamo,
vestiamo il mondo. In questa traiettoria che unisce con un filo luoghi, corpi e costumi, si
formano il senso di identità e di alterità. Alla luce di questa connessione ogni abito
presente in mostra si manifesta come un raccoglitore di esperienze, una tessitura tra
luoghi, uomini e culture. Da un Capo all’Altro invita a mettersi in relazione con i vestiti
aprendo dei mobili, quindi interagendo, utilizzando paradossalmente l’intimità dell’arredo
domestico e dell’abbigliamento, per parlare dell’esperienza del viaggio, quella che più di
tutte mette l’uomo in dialogo con l'Aperto e l'Altrove. In questo capovolgimento, gli abiti
danno vita a dei mondi interattivi poetici, intimi e delicati, divertenti e dinamici, vestendo
nuove ed inedite trame di senso. Allo stesso modo, i mobili sono realmente mobili:
perdono la loro fissità e si circumnavigano a tutto tondo come isole nello spazio espositivo,
avendo la particolarità di poter essere aperti ed esplorabili da più lati. Il Capo assume,
quindi, una doppia valenza: geografica, in quanto braccio di terra che si allunga nel mare
per tendere la mano ai viaggiatori e spalancare gli approdi, e antropologica, poiché
oggetto familiare in cui si infilano i corpi e le culture, il senso del mondo e i colori del
destino, destino poeticamente associato da sempre alle stelle e alla notte. Gli abiti, tutti
ricevuti in dono dalle diverse comunità che sono state coinvolte nel processo creativo,
hanno la particolarità di essere tutti di colore blu: un attraversamento nel colore più
rappresentativo del Lontano e dell’Immenso che la nostra cultura mediterranea conosca,
che porta con sé il poetico augurio di poter vestire i sogni che ciascuno porta nelle proprie
tasche e poter cucire il destino terreno del viaggio al manto protettivo delle stelle.

IL GIOCO ED IL VIAGGIO COME VIE DI CONOSCENZA E RELAZIONE STARE E SO-
STARE NELLA MOSTRA

“Se il gioco è inteso come evasione dalla realtà, gioco e lavoro appaiono in antitesi. Ma
non è così; il gioco insegna ai bambini la socialità e incanala lo sviluppo cognitivo; installa
l’obbedienza alle regole ma contrasta nel modo giusto questo disciplinamento, perché
consente ai bambini di creare essi stessi le regole a cui obbedire e di fare esperimenti con
esse. Queste capacità ci serviranno per tutta la vita, quando cominceremo a lavorare.” (Da
L’uomo artigiano di Richard Sennett - Cap. 10. Il lavoro e il gioco – il filo ininterrotto della
perizia nel fare - p. 256) Come tutte le produzioni che nascono presso l’officina creativa de
La luna al guinzaglio, anche la mostra “Da un Capo all’Altro” prende la sua origine
dall’idea di gioco e, attraverso un processo di rivestimento di senso, prende con sé tutti i
processi narrativi e relazionali che attraversano il nostro tempo e diventa un Gioco di Arte
Contemporanea. Il percorso espositivo è, infatti, muovere i passi intorno al gioco del “far
finta di”, il processo simbolico di immedesimazione che “crea delle situazioni immaginarie
per superare i limiti delle proprie possibilità di azione concreta e reale” (citando Rossella
Grenci). Porsi delle domande sull’altro, chiedersi come possa essersi sentito in
determinate situazioni, scoprire che alcune sensazioni legate al senso del viaggio sono
comuni a tutti gli uomini, a prescindere dall’età, dalla provenienza e dal contesto culturale,
è il significato profondo, l’approdo che la mostra si prefigge di raggiungere. A fare da guida
in questo meta-viaggio nel gioco dell’immedesimazione, sono le Abitografie, otto biografie
in sospeso tra il vero e l’immaginario di altrettanti otto celebri e meno celebri viaggiatori:
all’ingresso di ciascun arcipelago, infatti, ci accolgono due abitacoli che consistono
essenzialmente in cabine di alluminio senza pareti (questa dimensione è importante
poiché, oltre a rispondere ad esigenze tecniche di leggerezza ed esplorabilità, rimanda al
concetto del confine effimero, il confine convenzionale) che rappresentano un po’ delle

colonne d'Ercole oltre le quali si vuole andare. Questi abiti speciali sono portatori di
racconti e domande: cosa avrà provato Giovanni Caboto prima di salpare per Cipangu?
Come si sarà sentito Paul Gaugin mentre preparava la sua valigia per Tahiti? Cosa sentiva
sul suo corpo Arthur Rimbaud mentre fuggiva dai “morsi della vita”? Nessuna biografia
ufficiale dà risposte a queste domande, ma forse possiamo provare ad immaginare.
Poiché siamo tutti viaggiatori. Le Abitografie presenti in mostra sono esempi di scrittura
emotiva in cui il gioco di immedesimazione conduce i “giocatori” in questo attraversamento
e li accompagna a scoprirsi, un po’ alla volta, non molto diversi da Caboto, Gaugin e gli
altri. Seguendo il filo delle Abitografie, i visitatori si muovono tra gli arcipelaghi fatti di
mobili: comodini, cassettiere, armadi…tutti pieni di abiti. Proprio come accade a casa. O
quasi, perché qui ciascun mobile è un mondo da aprire, da esplorare. Se non si apre il
cassetto, l’abito-abitante in esso custodito non potrà raccontarsi. Aprire è la parola chiave
per giocare e, di conseguenza, cucire una relazione. E cos’è il viaggio se non un’apertura?
Ogni mobile presente in mostra è una piccola isola, un approdo, un luogo di accesso e
non un muro, un racconto che parla di poesia e di dialoghi possibili, di stupori e di pace:
soffiando in un soprabito le gonne mongolfiera raccontano il vento dei ricordi, tirando le
stringhe di un cappuccio si ascoltano le paure di chi viaggia verso l’ignoto, aprendo un
cassetto, un vortice di vestiti gira senza sosta come i pensieri notturni prima di partire… il
gioco è, alla fine, scoprire quanto simili siano tutti gli uomini mentre sono in transito. Su
questa similitudine, che è allo stesso tempo scoperta e destinazione, si compongono i
quattro arcipelaghi-mobili, ciascuno dedicato ad una fase del viaggio.

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